Mai come durante questo
agosto mi sono sentito così a casa qui.
Sentirsi a casa forse significa sentirsi parte di una
routine, con il caffè d'orzo dalla Monica, la spesa a Bore, qualche esperimento
in cucina, la passeggiata di primo pomeriggio, leggere un libro guardando il
tramonto in giardino, le luci che si accendono con il sopraggiungere del
buio…
Ma sopra a tutto: il filòs alla sera. Quello davvero sopra a tutto.
Uscire dalla porta alla sera dopocena, scendere in strada accanto al campanile della chiesa, e stare li, in compagnia, tra chiacchiere semplici e sincere. Ci si ritrova tutti: prima quelli delle case più vicine, e poi mano a mano si aggiunge chi arriva dopo una breve passeggiata, e di tanto in tanto qualcuno che passa con la macchina e volentieri si ferma a fare quattro chiacchere.
Tutti li: le donne sedute lungo il muro su un lato della strada, quello più riparato dall'arietta fresca della sera, gli uomini in fila anche loro, sull'altro lato. Seduti su una teoria di panche, che sembra non essere mai sufficiente ad ospitare tutti. A volte si chiacchiera tutti insieme dello stesso argomento, altre volte si formano capannelli.
Perché quest'anno, una volta di più, ho capito una cosa: non basta avere dei sassi. Non è sufficiente possedere una casa per sentirsi a casa.
Sentirsi parte di una comunità, per quanto ancora una piccolissima parte, invece aiuta davvero tanto.
Sentirsi parte di una comunità, per quanto ancora una piccolissima parte, invece aiuta davvero tanto.
Bene, se questo è vero, ora questa per me è casa.