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#andràtuttobene

Ovvero diario della crisi Coronavirus, parte uno di enne.

Ovvero per ricordarmi un domani quel che sta succedendo oggi.



Il 20 febbraio 2020 viene individuato il primo paziente positivo al nuovo corona-virus SARScoV-2, a Codogno. La mattina del giorno successivo, sabato 21, ci svegliamo con la notizia del primo caso a Cremona, una ragazza giovane. 

E così ha inizio in Italia l'epidemia di COVID19, che aveva già ucciso migliaia di persone in Cina, in particolare a Wuhan.

Quasi ci mettiamo a fare le valige per scappare in montagna. 
Poi ci fermiamo a ragionare e a fare due conti: da quanto tempo circola? Capiamo che potremmo perfino essere già infetti! Iniziamo quindi a prepararci a passare un periodo di isolamento al Boscone, ben prima che diventi obbligatorio per legge. 

Con la consapevolezza che chissà per quanto tempo non riuscirò a salire a Casali e prendermi cura della casetta e del piccolo e amato giardino. Pace amen. Improvvisamente tante cose che sembravano importanti, le nuove piantine che avevo acquistato a Serravalle da piantare vicino a casa, le idee e i progetti... tutto perde di valore in un soffio. 
Non conta più nulla, l'unico obiettivo è cercare di preservare la salute dei familiari che più di altri potrebbero accusare un duro colpo dalla malattia.

Ci torna in mente un commento del nostro medico di famiglia visto la settimana prima, che diceva: non capisco cosa succede quest'anno, questa influenza peggiora e non passa. 


Subito la prima spesa al supermercato, perché si capisce che sarà una cosa grossa. Al supermercato, dove vado in orario morto proprio per incontrare meno persone, vedo per la prima volta gli scaffali vuoti: è scattato l'accaparramento.

Ma non potevamo ancora riuscire ad immaginare quanto grossa sarebbe stata. Nessuno in Italia poteva immaginare cosa sarebbe stato di qui a poche settimane nelle provincie di Cremona, Bergamo, Brescia, Lodi e Piacenza.

Vengono istituite subito alcune zone rosse: tutti bloccati in casa, tutte le attività chiuse meno la filiera alimentare. Vietato entrare ed uscire, con blocchi delle forze dell'ordine agli ingressi di 11 comuni del lodigiano e un comune del padovano.

Sin dal 23 e per più di una settimana i sindaci di Cremona e di alcuni paesi della bergamasca chiedono di bloccare tutto, di allargare la zona rossa. Purtroppo tutti gli appelli non vengono ascoltati. Chi è lontano da qui non capisce la situazione. È comprensibile: anche noi che ci viviamo e vediamo direttamente quello che sta succedendo fatichiamo a renderci davvero conto dello tsunami che ci sta investendo. Tsunami: così lo ha chiamato il Direttore Sanitario dell'Ospedale Maggiore di Cremona. 
È comprensibile, ma non per questo meno grave. 

Ed è così che l'epidemia dilaga.

Quanti morti hanno sulla coscienza i governanti che non sono riusciti a capire la portata di quello che stava accadendo, senza avere il coraggio di prendere le decisioni che servivano? 

Scopro che una nostra collega, che per tanti anni ha collaborato con lo studio, è a casa, con febbre alta, positiva al nuovo corona-virus. Passeranno settimane prima che la febbre scenda. Non è ancora guarita. Ma almeno lei se l'è cavata, a casa. 

Gli ospedali iniziano ad essere sommersi da casi di polmonite grave.

Purtroppo in questa situazione iniziale di incertezza il mio socio di studio non capisce subito la mia necessità di lavorare da casa per tutelare i miei familiari. È una di quelle persone che riteneva l'allarmismo eccessivo, come se fossimo tutti preda di una isteria collettiva. Vero che eravamo in ballo con una consegna, ma come si può mettere il lavoro davanti alla salute in un momento simile?! Il 3 marzo, mentre ero tornato un paio di giorni in ufficio per cercare di appianare la cosa, un suo discorso mi ha illuminato sulla decisione da prendere. È una questione di priorità, diceva, bisogna ragionare e se arriva il momento di fare scelte, bisogna valutare cosa scegliere e cosa sacrificare. La sua scelta è stata il lavoro. La mia no. Da li le nostre strade si son divise.

Il 4 marzo vengono chiuse tutte le scuole d'Italia, l'8 marzo viene istituita una quarantena in Lombardia e altre 14 provincie, con limitazioni alle attività di bar ristoranti, divieti di assembramenti e cerimonie, vietando tutti gli spostamenti non strettamente necessari, senza però chiudere le attività produttive.

Dal governatore della Lombardia, sostenuto da tutti i sindaci dei capoluoghi, arriva a Roma un appello pressante, affinché vengano prese misure molto più stingenti: si chiede di chiudere tutto, tutto, come fatto nel lodigiano, perché arrivano i primi riscontri sull'efficacia del provvedimento. Evidentemente non viene capita la sproporzione e la diversità del contagio tra Lombardia e resto d'Italia, e non vengono adottate misure specifiche per le zone più colpite. La sera del 9 marzo le stesse regole del decreto dell'8 vengono estese a tutto il territorio della nazione, aggiungendo la chiusura di tutte le attività commerciali non essenziali, ma non delle attività produttive.

In verità moltissime aziende, quelle che possono e che hanno buonsenso, chiudono spontaneamente, per garantire la sicurezza dei propri lavoratori. Ma non tutte. Anche molti cantieri edili chiudono, già solo per le difficoltà di approvvigionamento dei materiali. Restano attive per legge le aziende che producono beni di prima necessità.

E resta un po' sullo sfondo questo sentiment latente: che lontano da qui non si capisca appieno il dramma che stiamo vivendo.

È sempre più evidente, mano a mano che la situazione si aggrava. Ma mi sento di capire, chi poteva immaginare un mese fa cosa poteva succedere... Era così lontano quel che accadeva in Cina, chi mai poteva pensare che poteva ripetersi proprio qui, a Codogno, a Casalpusterlengo... A Cremona.

Capire si, ma non giustificare! Qui ce ne siamo resi conto subito perché ce lo siamo sentito addosso, sulla pelle. 

Si moltiplicano ovunque gli appelli a non uscire, a stare a casa, e ad adottare comportamenti responsabili, sia in TV che con gli altoparlanti per le strade. 

Iniziano anche alcuni flash-mob: Facebook si riempie di filmati di persone che cantano l'Inno di Mameli, o le canzoni della tradizione italiana, oppure che suonano gli strumenti più vari sui propri balconi di casa. 

La situazione all'Ospedale Maggiore di Cremona è davvero seria. Da 24 giorni oramai in prima linea: il primo ad essere travolto dai pazienti trasferiti qui dalla iniziale zona rossa. Oramai trasformato interamente, con quasi tutti i reparti riconvertiti in pneumologia: al 15 marzo 600 ricoverati con polmonite da COVID19, con letti di terapia intensiva ricavati in ogni angolo possibile, anche nelle sale operatorie e nei corridoi. Solo i reparti di oncologia e ginecologia restano aperti alle attività ordinarie. Capita alcune volte che addirittura il pronto soccorso debba essere chiuso perché l'ospedale non è in grado di ospitare ulteriori malati. E ogni giorno ne vengono trasferiti a decine in altri ospedali della Lombardia, per liberare letti che vengono subito nuovamente occupati.

Fin da subito è stata sospesa tutta l'attività programmata di interventi e visite, tutti gli ambulatori sono stati chiusi e medici ed infermieri dirottati nei reparti per assistere i malati. Il personale è sotto enorme stress, con turni pesantissimi e difficili da sostenere, bardati oltre l'immaginabile per difendersi dall'infezione. Nonostante questo tanti purtroppo si infettano.

La foto di una infermiera di Cremona, crollata dopo un turno estenuante, fa il giro del paese e diventa il simbolo della lotta quotidiana che gli operatori stanno combattendo in corsia.

E poi ci sono i problemi di ordinaria amministrazione: se ti rompi una gamba, o ti viene un infarto? Per la gestione ordinaria sono individuate altre strutture, dedicate, pochissime in tutta la regione: per noi a Brescia o Mantova a seconda delle patologie. 

Durante il giorno e alla sera, circolano per le strade della città e dei paesi le auto della polizia locale e della protezione civile, annunciando con il megafono il divieto di allontanarsi da casa, e le norme da seguire durante la clausura.

Ieri ho visto un filmato: riprendeva una fila interminabile di bare disposte in una chiesa di Bergamo, in attesa della sepoltura. Perché in tempi di COVID 19 tutte le funzioni religiose sono sospese, comprese i funerali. Le persone muoiono negli ospedali, con il solo conforto del personale sanitario. I parenti non si possono nemmeno avvicinare, essendo a casa in quarantena per essere venuti in contatto con una persona infetta.

Neanche i funerali sono ammessi. Solo una benedizione alla bara prima dell'inumazione o della cremazione. Ma i servizi cimiteriali non riescono a tenere il passo: addirittura i feretri vengono trasferiti in altre regioni che mettono a disposizione gli impianti di cremazione.

È una mattanza. Intere famiglie distrutte.

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Come sono i giorni di quarantena al Boscone? 

I giorni di quarantena si susseguono, uno dopo l'altro sempre uguali, sospesi... 
Sospesi nell'angoscia, aspettando che succeda quel che deve succedere. I miei genitori non sono più giovani, il papà è cardiopatico, diabetico, ha la bronchite cronica: cosa succede se si ammala? Nessuno in casa ne parla, ma sappiamo tutti la risposta a questa domanda.
E con un tuffo al cuore ad ogni colpo di tosse. Da diventare matti. 

Mai come tante altre persone che conosco, che da un giorno all'altro si sono trovati la famiglia decimata.

Poi c'è il suono delle ambulanze in lontananza. Un suono basso di sfondo, che arriva dalla città, verso l'ospedale maggiore. Un suono continuo, giorno e notte, straziante. 

Per due settimane accompagnato dal passaggio continuo degli elicotteri dell'elisoccorso: pur abitando fuori città, non sono lontano dall'ospedale e casa mia è sulla rotta di atterraggio. Dal 10 marzo hanno smesso. Pensavamo fosse una buona notizia. No. È che per portare via i malati e liberare posti in ospedale hanno iniziato ad usare gli elicotteri militari, che però devono atterrare all'aeroporto del Migliaro. 

Poi c'è rito quotidiano di andare in edicola a prendere il giornale... Non tanto per le notizie, che arrivano in abbondanza da social e TV, quanto per sfogliare le pagine dei necrologi: quante persone! E si fanno passare piano, per vedere se c'è qualcuno che si conosce... Perché troppo spesso è così.

Poi c'è il cambio di senso di una frase che oramai era diventata una cosa quasi meccanica: "comestai? Tuttobene" si diceva prima del 20 febbraio, in automatico, senza pensarci e senza che effettivamente la risposta potesse essere vera o meno. Cosa che tanto non interessava più di tanto l'interlocutore, peraltro. Era diventata solo una formalità di rito. 
Ora no, ci si saluta e si chiede davvero, con interesse, come si sta, si ascoltano le notizie e si è vicini nelle difficoltà. Con tutti, anche con persone che non ci si sentiva da anni, su Facebook. 

Poi magari esci un attimo per ordinare il giardino, nel momento più bello dell'anno, con la primavera che sboccia ovunque ed un susseguirsi di giornate con meteo splendido. Poi pensi: e se mi punge un'ape e vado in shock anafilattico? Ora che arrivo in pronto soccorso a Brescia faccio in tempo a restarci secco! Meglio starsene davvero chiusi in casa! 

Facebook un giorno ha pubblicato una foto dei ricordi: un tramonto scattato due anni fa da casa, con i tetti innevati e una nuvola bassa davanti alle montagne.... dannato anche lui a mettercisi, ma si, torneranno anche giorni così!! 

Fin da subito ho iniziato a fare un file in excell in cui indico giorno per giorno le poche persone con cui entriamo in contatto, o quelle poche volte in cui vado all'Esselunga per fare la spesa. Con tutte le formule del caso, il foglio di calcolo mi dice quando finalmente sono trascorsi i 15 giorni di quarantena e posso dare per assodato di non essere stato contagiato in quella tale occasione.

Il 7 marzo in particolare vado a fare la spesa all'Esselunga. Controllo su google maps l'orario con minore affollamento medio, per cercare di ridurre i contatti. Purtroppo evidentemente non sono stato l'unico a fare il medesimo pensiero. Non c'era ancora il blocco totale, e non erano ancora passati alcuni concetti base, tra cui la distanza di sicurezza e il droplet. E ancora pochi usavano le mascherine. Io pure ero tra quelli che non l'avevano... sempre in una attesa, ancora vana, di riceverne una confezione ordinata su Amazon.
Beh sono rientrato a casa sconvolto, buttando i vestiti in lavatrice e buttandomi io nella vasca da bagno. Bisogna provare per capire l'impressione di essere circondato da così tante persone, con l'idea che alcune di loro possano essere malate, anche senza saperlo. Poi la difficoltà di mantenere una distanza di sicurezza che ogni secondo viene meno: ad ogni scaffale, ad ogni prodotto messo nel carrello. Garantisco che può fare andare fuori di testa anche una persona sana di mente. Ci ho messo quattro ore a tornare pienamente lucido. Anche se poi era solo paranoia...

Il 13 marzo un altro momento di panico: mi alzo alla mattina facendo fatica a respirare. Cerco di convincermi che si è solo risvegliata l'asma, sopita da vent'anni... Forse è così, la cosa prosegue, ma è gestibile... Niente febbre, anzi temperatura sempre sotto i 36, cosa stranamente caratteristica di tutta la famiglia. Continuo ad incrociare le dita!!

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Cosa è cambiato in questi giorni? Quanto l'epidemia ci sta cambiando? 

Beh, intanto dopo più di 10 anni mi sono sbarbato, per tenere il viso più pulito... e son tornato a rivedere il mio doppio mento. 

A parte gli scherzi: quanto diamo per scontato! Quante cose diamo per scontate!! 

Credo che il discorso sia generalizzato: una riscoperta del senso dello stare qui, del valore delle relazioni umane, dell'importanza della solidarietà, dell'importanza di uno stato centrale che gestisce i servizi primari, di cosa significa avere una assistenza sanitaria garantita per tutti e gratuita... 

Per me è cambiato tanto! Uscire da una routine e guardarla da fuori mi ha aiutato a capire quanto è assurda la mia vita lavorativa. 
Ho deciso, vorrei essere "diversamente povero" : lavorare in modo meno pressante, riducendo le spese d'ufficio per mantenere lo stesso tenore di vita, e migliorando la qualità della vita e delle relazioni umane. È la mia Giraffexit. Ho deciso di prepararmi a lasciare lo studio che ho contribuito a costruire, con la prospettiva di trasferirmi definitivamente a casa mia, in quel Casali che mi ha adottato, imparando a mettere a frutto le possibilità che la tecnologia oggi ci mette a disposizione, per favorire il lavoro a distanza. 
Si, l'epidemia ha iniziato a cambiare la mia vita. Il tempo dirà se in meglio, ma sono convinto di si. 

Questo però tenendo presente che si resta sempre sospesi nell'attesa.... nel proseguire la quarantena, nello sperare egoisticamente che la malattia sia lieve sulle persone care, con la speranza di poterne uscire con la famiglia, ancora tutti insieme come ora.

Ma la realtà, in fondo, è che nessuno oggi può dire cosa sarà domani, come sarà il dopo... Ancora non sappiamo nemmeno quando sarà il dopo! 

Per ora possiamo dire che Morfasso resta una isola felice: nonostante la vicinanza con i focolai, ancora nessun contagiato presente sul territorio comunale: se non è questo un buon motivo per sceglierlo come luogo dove immaginare un futuro!!

Intanto non resta che pensare come quei bambini che appendono tanti arcobaleni sui balconi... #andràtuttobene 





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