Diciamoci la verità:
le strade della Valdarda sono un mezzo disastro.
Non ce n'è una che
non abbia un piccolo o grande guaio: una frana che incombe, una riga bianca sparita, un avvallamento del
manto, un pezzetto che manca... Un
po' di manutenzione quest'estate è stata fatta, ma sembra una goccia in un mare.
In questi mesi però
ho scoperto che la valle è innervata da una rete infinita di stradine che
salgono, scendono, girano, tornano, svoltano. Chilometri di asfalto che spesso conducono a frazioni di poche casupole, magari diroccate.
Grazie a questo
però, quando salgo a Casali ho una vasta scelta di percorsi alternativi. Al momento ne ho
selezionati quattro principali, ma ci sarebbero poi altre varianti, imboccando
di volta in volta una traversa o una stradina secondaria. Tutte però si raggiungono, dalla bassa, solo passando per un unico punto: non si può proprio sfuggire dallo sguardo vigile delle torri di Castell'Arquato.
Li ho anche battezzati, questi percorsi.
Li ho anche battezzati, questi percorsi.
La direttissima: la
mia fedele alleata delle disperate salite infrasettimanali mattutine, perché è la più breve. Dopo avere percorso la strada di fondovalle, nuova, bella larga e
diritta, all'altezza della chiesa (e del perduto castello) di Sperongia, si
svolta e ci si butta in una scorciatoia strettissima, in alcuni tratti con solo una lingua
asfaltata tra due banchine in ghiaia ai fianchi, utili nella la rara evenienza in cui si
incontri un veicolo in direzione opposta. Ripida e tortuosa, raggiunge il
paese a ovest, con una ultima salita da vera arrampicata.
Proseguendo diritto
per il fondovalle fino a Morfasso e poi verso il Pellizzone, invece ecco percorsa la
strada dei nonni, che entra in paese da sud. L'ho battezzata cosi perché sebbene molto
più lunga delle altre è la preferita dei miei genitori: non ha neanche un
tornante. Niente salite ripide, niente imprevisti. È proprio una strada perbene ed educata.
Poi c'è la panoramica bassa, che
non uso quasi mai in verità. Passando da Lugagnano, si prosegue dolcemente a
mezza costa sul versante esposto a mattina. Ad un certo punto però, per non allungare troppo la via, meglio ributtarsi a capofitto verso Sperongia, e riprendere la direttissima.
E poi... E poi c'è
la mia preferita. Magari anche perché è quella che ho percorso la prima volta che son venuto da queste parti. La panoramica alta. Percorrerla in una bella
giornata è per me meglio di qualsiasi medicina, una carica di energia.
Passato Castell'Arquato, si possono subito dimenticare le belle strade di pianura. In verità si può approfittare ancora di un ultimo tratto rettilineo. Ma già bisogna prestare maggiore cautela, non si può proprio pigiare sull'acceleratore. Un cartello segnala il pericolo dell'attraversamento di animali selvatici, ed è proprio così. Anche io già mi son imbattuto in un paffuto cinghiale in mezzo alla carreggiata.
Arrivati quasi a Lugagnano, la strada attraversa con indifferenza l'Arda e sfila un po' di tristi capannoni. Ma poi inizia il divertimento: la salita a Vernasca! Dal fondovalle si vede un delizioso borgo arroccato in cima ad un colle, con la torre e le rovine di una chiesa romanica dedicata a san Colombano. E ci si arriva eh, basta affrontare una serie di 15 tornanti (senza contare le altre curvette), che serpeggiano lungo il fianco della collina, spaziando fra campi coltivati e improvvisi panorami con visuali sempre nuove sulla valle.
Ma raggiunto il paese non è finita: la strada prosegue con il suo serpeggiare su un crinale. Da dove, se si è fortunati, al posto della solita cappa di foschia si può riuscire a vedere tutta la pianura, e sull'altro lato le vette delle alpi innevate. Che spettacolo! Certe case che vedo qui hanno proprio una vista invidiabile!
Arrivati quasi a Lugagnano, la strada attraversa con indifferenza l'Arda e sfila un po' di tristi capannoni. Ma poi inizia il divertimento: la salita a Vernasca! Dal fondovalle si vede un delizioso borgo arroccato in cima ad un colle, con la torre e le rovine di una chiesa romanica dedicata a san Colombano. E ci si arriva eh, basta affrontare una serie di 15 tornanti (senza contare le altre curvette), che serpeggiano lungo il fianco della collina, spaziando fra campi coltivati e improvvisi panorami con visuali sempre nuove sulla valle.
Ma raggiunto il paese non è finita: la strada prosegue con il suo serpeggiare su un crinale. Da dove, se si è fortunati, al posto della solita cappa di foschia si può riuscire a vedere tutta la pianura, e sull'altro lato le vette delle alpi innevate. Che spettacolo! Certe case che vedo qui hanno proprio una vista invidiabile!
Questo tratto poi è tanto amato dai ciclisti: nella bella stagione si misurano a orde.
E così si prosegue, sulla cresta che divide la valle dell'Arda da quella dello Stirone, scavallando più e più volte da un versante all'altro. Il tutto accompagnato da boschi fitti fitti. Quando la vegetazione di bordo strada si apre un attimo, lo fa solo per farti vedere altri pendii, altrettanto ricoperti di vegetazione.
Proseguendo si percorre un tratto della valle del torrente Cenédola per poi avviarsi verso Bore. Passato Luneto si prosegue sullo storico stradone per Genova, inaugurato nel 1778 e fortemente voluto da Maria Luigia d'Austria, duchessa di Parma, per collegare la sua città agli appennini più interni, e poi giù fino al mare.
Bore non ha una storia millenaria come i suoi onorevoli predecessori del percorso, ma sembra nato così, spontaneamente, poco per volta, accompagnando un bel tratto di strada, sviluppato attorno ad una delle varie poste per cavalli costruite allora lungo il percorso. Ed è evidente questa sua origine di villaggio-strada, mentre lo si percorre accompagnati da una lunga successione di casette tutte sull'attenti a fianco della banchina.
Anche a Bore ci sono delle case fortunate. La vista sulla valle del torrente Cenédola deve essere emozionante ogni giorno dell'anno. Anche se spesso la vallata si riempie di nebbia e nuvole.
A volte va bene e ci si sta sopra, a volte meno e ci si ritrova in mezzo.
Attraversata la bocchetta di Settesorelle (altro posto che meriterà un racconto) si ritorna nella valle dell'Arda, contornando i fianchi occidentali del monte Carameto.
E finalmente, poco prima del Passo del Pellizzone, si imbocca una stradetta in discesa, e si arriva a Casali, entrandovi da nord. Non prima di aver buttato gli occhi sul cucuzzolo della rocca, e su un ultimo inaspettato sguardo alla pianura.
E da est? Non si arriva a Casali in auto da est, perché li c'è la vetta del monte Carameto. Ma ci saranno sicuramente tanti sentieri da esplorare. Uno sicuramente parte proprio davanti a casa mia.
E da est? Non si arriva a Casali in auto da est, perché li c'è la vetta del monte Carameto. Ma ci saranno sicuramente tanti sentieri da esplorare. Uno sicuramente parte proprio davanti a casa mia.
L'ultima volta che l'ho percorsa, è stato il quattordici novembre. Tanto per cambiare una giornata strepitosa, con la luce chiara ed il cielo terso. Bella come solo queste rare giornate autunnali di sole in mezzo a tutta l'uggiosità riescono a essere.
Dei colori dell'autunno ho già scritto qui, non mi ripeto. Ma oltre alle viste sulla pianura limpida e sulle alpi innevate, ciò che mi ha colpito è stata la Vitalba. Poverina, solitamente se ne sta li, sempre snobbata o disprezzata dai più, ad arrampicarsi sugli alberi ai margini della strada. Ma in queste giornate i sui semi si illuminano! Sembra che brillino di luce propria. E gli alberi tutti ricoperti dai suoi batuffoli improvvisamente si trasformano in piante fiorite, da fare invidia alla più rigogliosa delle primavere. Bello bello. Mi fermo più volte lungo la strada ad ammirare la vista. In una occasione, risalendo in macchina dopo avere fatto una foto col telefono, mi passano accanto due caprioli. Così, come se fosse la cosa più normale.
Quel giorno torno nella bassa all'imbrunire, da altra via. Passando da Pedina mi trovo sulla destra la vista della Rocca di Casali che incombe sulla valle. E appena accanto, poco sopra lo sperone di roccia, la luna piena. Ma non una luna piena qualsiasi: la famigerata super-luna di cui tutti parlano in quei giorni.
Non mi fermo per scattate una fotografia.
Ma non mi devo crucciare, dopotutto una luna così ricapiterà già nel 2038, dicono. Ma chissà se allora alle 17 di una sera d'autunno, sarà ancora lì, di nuovo accanto alla rocca illuminata dagli ultimi raggi del sole che si sta nascondendo dietro ai monti.
Si capisce vero che non mi rammarico ora per aver mancato questa foto? No, no. Proprio neanche un po'.