È il primo maggio. Sarebbe anche festa, ma quest’anno cade di sabato, e come da manuale, il tempo è incerto. Presto pioverà. Mi son messo al pc con il pensiero che ho talmente tante cose da fare davanti a me che dovrei approfittare di ogni momento libero per portarmi avanti con il lavoro, o meglio ridurre un po’ l’arretrato.
Quindi, grande classico, ho aperto il blog ed ho iniziato a perdere tempo con l’idea di scrivere qualcosa.
Ma poi, siamo sicuri che sia davvero tempo perso?
Così inganno un po’ l’attesa: più tardi accompagnerò la mamma all’hub della fiera, dove questa sera farà la sua prima dose di vaccino Covid.
Finalmente, dopo qualche titubanza (per colpa di un assurdo allarmismo mediatico che ha messo un po’ in crisi la campagna) anche lei si è decisa.
Superato qualche inghippo iniziale, la vaccinazione di massa prosegue infatti spedita, e sono già state somministrate più di venti milioni di dosi, ora al ritmo di cinquecentomila al giorno. Onestamente, nessuno lo avrebbe creduto possibile un paio di mesi fa. Spero presto verrà anche il mio turno. Ecco, stavolta lascio qui a memoria solo questi numeri della pandemia, perché sono belle notizie. Con l’illusione di una prospettiva di ritorno ad una normalità non così lontana.
E non dimentichiamo che siamo tornati in zona gialla da una settimana e si può riprendere un minimo di vita sociale. O almeno è letteralmente legittimo provarci.
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Mi sto facendo di nuovo qualche domanda in questi giorni su questo spazio, che ha sempre qualche difficoltà a trovare una sua centratura. Leggo blog così ben impostati e scritti, con una linea editoriale chiara, post su Facebook carichi di pathos, o contenuti culturali frutto di studi e ricerche, o citazioni dotte, riflessioni serie, belle foto e pensieri che sembrano poesie. Quanto piacerebbe anche a me fare così, mi sentirei utile. Una volta di più mi chiedo che senso abbia lasciare qui queste righe, sempre così raffazzonate.
Ma mi convinco che fare confronti non porta frutto. Qui è così. Un mio pensatoio, uno spazio dove lasciare ricordi e pensieri a galleggiare, pronti per essere rinfrescati al bisogno, da rileggere volentieri a distanza di anni. Per cui una volta in più mi dico che si, ha senso scrivere ancora qui. Non sono alla ricerca di approvazione, e non svolgo un servizio di pubblica utilità. Solo un racconto di quanto passare del tempo a Casali abbia reso la mia vita migliore.
Forse tutti questi dubbi derivano dalle insicurezze del periodo. Qualche strascico psicologico di questo anno abbondante inizia a farsi sentire, più di quanto sperassi. Ma per fortuna son cose che si possono affrontare e risolvere. Scrivere qui un po’ mi aiuta. Alla fine scrivere fa bene a me, anche se è bello condividere quel che mi passa per la mente, o le piccole cose di cui è fatta la mia vita.
Piccole cose, piccole soddisfazioni.
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Una piccola cosa successa in questi giorni è l’aver spostato il mucchio di sassi che mi ingombrava da quattro anni il giardino.
Chi mi conosce sa cosa significa questo passaggio. Il giardino di Casali era ingombrato da una piccola montagna di sassi, scavati e portati fuori a mano durante i lavori della casa dal povero Omar, per fare spazio al consolidamento delle fondazioni. Ogni volta che li riprendo in mano non posso fare a meno di pensare alla lavorata che hanno fatto allora. Lascio qui una foto dell’epoca, ad imperitura memoria.
Beh questo gran mucchio è stato poco a poco eroso: son serviti per costruire quelle cose che fingono di essere muretti a secco, e che arrossiscono di vergogna se qualcuno li chiama così. Il frutto di tanti fine settimana operosi.
Ma i sassi non si sono mai esauriti. Una parte è rimasta li, neanche troppo in un angolo. Presi in mano e spostati varie volte, un po’ più in qua, un po’ più in là.
Un paio di settimane fa la grande decisione: ho coraggiosamente infilato una carriola nel baule della up (e c’è stata, povera Jole) e son salito con tante buone intenzioni. Li ho spostati tutti del nuovo terreno, infondo, il più lontano possibile da casa. Così è stato. È fatta!
Un giorno e mezzo di scarriolata, e un pomeriggio per sistemare il terreno e piantare nuove piantine nello spazio appena liberato. Un trionfo.
Ecco in verità i sassi più grossi son rimasti ancora nei paraggi, più per sfinimento, ma acconciati in modo da sembrare li per un buon motivo, e non per ripiego.
Proprio una piccola cosa, davvero merita un post tutto suo? Eppure per me si. Mi son regalato due giorni sereni, senza pensare al lavoro, nonostante la sfacchinata a cui, sono onesto, non sono più molto abituato ora che il lockdown mi ha reso obeso.
Non mi sembra vero avere almeno un angolo di giardino finito e ordinato. Oddio, finito per modo di dire, perché è lì che dovrei piazzare la fontanella che giace in garage da alcuni anni. Costruita dal mio fratello tuttofare, per sostituire il rubinetto eternamente provvisorio. Arriverà anche il suo momento di gloria.
Poi alcune piantine che avevo rimosso a settembre dall’aiuola disfatta vicino al confine, che dopo aver svernato a Cremona son tornate a casa. Tra loro una bellissima hosta nata da un seme dell’Adipa, alcuni bucaneve provvisoriamente fioriti al Boscone, aquilegie, una bella graminacea variegata frutto di un baratto a SeMiScambi. E ancora beh, qualche piantina comperata, tra cui diversi sedum (o come diavolo si chiamano ora) del vivaio I giardini dell’indaco. E dulcis in fundo qualche nuova piantina di aster settembrini della amica Valeria, barattati in cambio di qualche piantina di Ajuga che nasce spontaneamente qui nel prato e ora in fiore. Tutto abbastanza ragionato dall’esperienza maturata, per resistere alla siccità estiva. Speriamo sia davvero così.
Beh, se non si è capito, anche quel poco spazio libero ritrovato è già stato riempito per bene. Dovrò inventarmi qualcosa per le talee di Heuchera che hanno appena attecchito a casa e mi piacerebbe portare qui. Comunque bei problemi questi, avercene.
Per la verità la bordura mista sta iniziando ad erodere un po’ di spazio al prato, dopo tutte queste aggiunte: ma ora che non è più un bene così raro, direi che me lo posso permettere.
Ho fatto un po’ di inventario e mi sono reso conto che il piccolissimo giardino ospita al momento: dodici diverse varietà di salvia ornamentale, sedici varietà di sedum, tredici varietà diverse di narcisi, sei varietà di hemerocallis, quattordici diverse varietà di iris, quattro differenti varietà di ortensia quercifolia, oltre poi ad una nuvola di altre essenze. Ecco, mi manca un conteggio generale di quante erbacee ci sono in questi 130 miracolosi metri quadri. Ma solo tre varietà di tulipani, una miseria. E solo tre differenti rose, davvero una vergogna.
Ripenso in questo momento al mio motto “il giardinaggio costa meno dell’analista”: la cosa forse meriterebbe una verifica più approfondita.
Comunque in questi fine settimana mi sono goduto tutto l’ordine creato. E tutte le fioriture di narcisi e tulipani che l’anno scorso mi ero perso a causa del lockdown. Come mi mangio con gli occhi il bel pratone che per ora tengo tutto tagliato con il tosaerba della barbie, che mi dà soddisfazione intanto che l’erba non ha ancora iniziato a crescere seriamente. I due fienili son lì che mi guardano: ho dato incarico ad un tecnico dopo essermi reso conto di non riuscire ad occuparmene. Spero si sblocchi presto la situazione.
Ah due ultimi aggiornamenti: i nuovi alberelli per ora son vivi e vegeti, e anche le tante talee di ortensia (una cinquantina in effetti) fatte con i rami spezzati dalla neve, stanno disperatamente cercando di attecchire, lumache assassine permettendo. Dannate loro. Se non saranno divorate definitivamente, l’anno venturo potrebbero andare a riempire qualche angolino del grande parco di Villa Bottini. Luogo di cui prima o poi dovrò scrivere qualche riga.
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