Ho modo di conoscere la signora Patrizia solo il giorno dell'atto di compravendita. Ci parliamo per alcuni minuti, nell'attesa di essere convocati dal notaio per la firma.
Le prime chiacchiere sono di circostanza: entrambi sondiamo un po' il terreno, ma credo che subito ci facciamo reciprocamente una buona impressione.
Si capisce bene che per lei è un dispiacere vendere la sua casa, si vede che sono parte di lei ricordi ed emozioni legati ad essa.
Mi racconta che lo fa per evitare che vada in rovina, non potendola più usare, e perché vorrebbe vederla di nuovo vivere.
E mi racconta qualche briciola di storia: di come è stata costruita da suo papà, nella seconda metà degli anni cinquanta.
Se l'è costruita da solo, con olio di gomito e sudore, trasportando con una slitta tutti i sassi giù dalla montagna, dopo averli scelti con cura, uno per uno.
E sottolinea con orgoglio come nel costruirla il padre avesse inserito nei muri "la chiave della casa", così da renderla anche a prova di terremoto.
Io invece le racconto un po' di me e di che cosa faccio, e chiacchieriamo per un po'.
Prima di entrare dal notaio mi dice, quasi un po' commossa: sono contenta che l'abbia comperata lei, perché penso che sia una brava persona e me la terrà bene.
Beh, mi commuovo un po' anch'io…
Ed ecco, firmato, espletate tutte le formalità di rito, parto per andare a mettere il lucchetto alla porta, per non lasciarla aperta.
E programmo il fidato navigatore, che mi guida lungo una strada mai percorsa.
Passo da Vigolo Marchese, con una bella chiesa romanica e annesso battistero: per me una scoperta. Ma non mi fermo, proseguo imperterrito, e attraverso la val Chiavenna. Mi sento come un bambino in un negozio di caramelle, da quanto è bello il paesaggio.
La strada stretta serpeggia accanto al torrente, al centro di una valle con dolci pendii erbosi, di un verde chiaro strepitoso. Neanche a dirlo, il tutto è condito da un bellissimo sole invernale che inizia a calare, proiettando ombre lunghe e nette.
Poi inizio a salire, sempre seguendo strade tortuose, per raggiungere un basso passo e scollinare nella valle dell'Arda. Mi resta impresso un albero bizzarro, collocato al bordo della strada, che vedo quasi di sfuggita.
Stupidamente non mi fermo a fargli una fotografia, son troppo preso dai miei pensieri. Magari mi sbaglierò, e la fantasia ha distorto un po' l'immagine reale, ma ricordo un albero con un grosso tronco nodoso con dei corti rami tutti potati ed intrecciati ad arte, quasi come una scultura di ArteSella. Mi riprometto spesso di tornare a cercarlo, e riguardarlo con più attenzione. Ma lo farò il prossimo inverno quando non ci saranno le foglie.
E arrivo a Casali, dalla strada che passa per Sperongia. Faccio inversione in fondo al paese, perché la svolta a sinistra all'incrocio mi sembra ancora troppo stretta e difficoltosa.
E poi vinco anche l'ultima resistenza: imbocco la mia salita a tutta birra! Faccio un po' di cinema, compresa una bella sgommata con la povera Jole…. ma ce la faccio, arrivo in cima!
E succede una piccola cosa buffa. Preso dalla foga del momento, raggiunto il piano davanti a casa non sono preparato all'improvviso cambio di pendenza e con il braccio urto involontariamente il volante... e in un paese immerso nel silenzio totale, con le case tutte chiuse per l'inverno, si ode risuonare nella valle un bel peeeeeep!
Un colpo di clacson, nel caso non avessi fatto ancora abbastanza rumore…
Che imbranato! Ma che ridere :-)
Comunque ecco, giusto per sottolineare: ci sono io. E sono qui. E sono arrivato a casa mia.